Castrovillari, una primavera dei teatri fuori stagione

di Claudio Facchinelli, Rumor(s)cena, 25/10/22

 

[…] In questo panorama di buona professionalità, ma privo di picchi, di proposte davvero entusiasmanti, si distinguono per originalità almeno tre lavori, totalmente diversi fra loro.

Untold di Unterwasser è un godibile esempio di teatro di figura, appunto senza parole (quasi a volerne dimostrare la non necessità quale strumento di comunicazione): una delicata, poetica partitura di luci e di ombre generate manipolando e illuminando oggettini dall’aspetto fragile e precario, addirittura filiformi, ma anche i commoventi profili dei volti e dei corpi di Valeria, Aurora e Giulia che, a vista, danno un’anima a quegli oggettini, grazie a una professionalità ormai consolidata, che ricorda la poetica del compianto maestro georgiano Rezo Gabriadze, insuperato creatore di impalpabili magie.[…]

UNTOLD

di Tiziana Bonsignore, Teatro e Critica, 30/09/22

 

Tre blocchi trasparenti, tre donne accovacciate al loro interno. Buio in sala. La luce si riaccende: all’interno dei blocchi si materializza un ginepraio di fili. Così inizia Untold del collettivo UNTERWASSER (Valeria Bianchi, Aurora Buzzetti, Giulia De Canio), visto allo Spazio Franco nel corso del Mercurio Festival. Le tre interpreti animano una macchina dei sogni, un cinematografo di sagome con le quali dipingono, in silhouette, angustie e solitudini della vita contemporanea. La torcia, di cui si servono per proiettare le ombre sullo schermo, nelle loro mani diviene una macchina da presa: gli episodi si succedono in dissolvenza, tra musiche e rumori quotidiani prodotti direttamente sulla scena. Primi piani, soggettive e panoramiche indagano la vita solitaria di alcuni interni domestici, ma anche paesaggi metropolitani pullulanti di folla e caos. Davanti agli occhi degli osservatori si svolgono i fotogrammi di un storia delicata e malinconica, il cui lirismo è nell’immaginifica metamorfosi di forme e suoni. Un momento di delicata poesia, in cui il pubblico è catturato da uno stupore quasi infantile. Ma non si parla di semplice intrattenimento: la meraviglia è qui viatico per la riflessione. Al di là dei ragguardevoli espedienti tecnici, Untold descrive quella nota realtà urbana nella quale il singolo può facilmente smarrirsi; tuttavia, oltre il vespaio di strade trafficate, è sempre possibile il miracolo dell’incontro.

Quarta edizione di Mercurio Festival: this is a present for you – II parte

di Rita Cirrincione, Paneacquaculture.net, 9/10/22

 

[…] Untold della Compagnia UnterWasser, è una rivisitazione, meglio un’evoluzione, del teatro d’ombre sia per l’aspetto tecnico che per il contenuto introspettivo. Untold infatti non è solo teatro di figura, quell’artificio atto a creare una realtà illusoria e a stupire il pubblico, ma un linguaggio, un codice da decifrare e da cui fare emergere il non detto, portando alla luce il rimosso che vi si nasconde, in una visione che sembra riprendere il concetto junghiano di ombra.

Anche il disvelamento del meccanismo, messo a nudo sotto gli occhi del pubblico con la proiezione “a vista” di corpi e oggetti, è coerente con il progetto delle tre artiste che temerariamente creano una drammaturgia ad altissimo grado di complessità riuscendo a districarsi con maestria e leggerezza tra innumerevoli plastici, figure ed elementi scenici introdotti nel corso delle spettacolo e le molteplici situazioni e modalità di stare in scena – proiettando e proiettandosi sul telo, stando dentro e fuori la scena, osservando e osservandosi, e facendo interagire in diverse combinazioni ora i loro corpi, ora le forme o gli oggetti.

Il risultato è uno spettacolo raffinato, frutto di un’intensa ricerca, e allo stesso tempo leggero e poetico, un itinerario esistenziale che conduce verso una presa di coscienza. Fondamentale il supporto sonoro delle musiche originali. […]

 

[…] La stessa compagnia italiana si è esibita il giorno seguente, sabato 6 novembre, con il suo ultimo spettacolo intitolato Untold (il non detto), opera commissionata dalla Biennale Teatro di Venezia 2020.

L'opera, che ben potrebbe essere considerata come la continuazione dell'indagine svolta con Maze, compie un gigantesco passo avanti nel cambiare la prospettiva da cui si focalizza la ricerca: invece dello sguardo distante e oggettivo dell'occhio - la luce mobile- dell'osservatore che guarda dall'esterno, in Untold Valeria Bianchi, Aurora Buzzetti e Giulia De Canio si mettono all'interno di questo occhio che guarda, cioè dentro se stesse come osservatrici di se stesse, in modo che soggettività, che in precedenza appariva oggettivata come ombra in lontananza sullo schermo, sia ora all'origine dell'azione del guardare. Un sostanziale cambio di prospettiva che determina l'intero processo intersezionale di ombre e giochi di luce, conferendo profondità a immagini che prima non esistevano.

Innanzitutto, invece di un unico schermo, lo spazio delle proiezioni è triplo, tre grandi schermi adiacenti situati ad angoli aperti, che corrispondono alle tre manipolatrici-protagoniste, ognuna delle quali cercherà la propria singolarità soggettiva. Allo stesso modo, l'inizio dell'opera parte da tre cubi di luce in cui si trova ciascuno degli artisti, indicando un chiaro punto di partenza: il loro isolamento in relazione agli altri e al mondo. All'interno del cubo c'è solo l'introspezione dello sguardo su se stessi, questa ansia del narcisismo contemporaneo che ci riversa nell'attuale cultura dell'immagine digitale mediatizzata rappresentata da telefoni cellulari, reti sociali, selfie, ecc. L'autocontemplazione introspettiva che è sempre stata il punto di partenza per le avventure della vita delle persone.

Le ragazze-artiste, ovviamente, decidono di uscire dal cubo e iniziare la loro esplorazione. Si ritorna alle tre figure silenziose che in questo caso sono due cose: le manipolatrici distanti che sanno che il segreto delle cose sta nell'alchimia intersezionale delle ombre, e le protagoniste della ricerca. Vale a dire, creeranno le prospettive impossibili di strade, città, strutture, ma loro stesse ne entreranno e appariranno come ombre nelle proiezioni incrociate dei tre schermi. È questa ambiguità tra distanza e ansia di ricerca personale, tra distanza e intimità soggettiva, ciò che dà impulso e ritmo alla danza delle immagini e alla loro evoluzione. Carica l'azione di un drammatismo sottile e cognitivo, in cui si inserisce lo sguardo freddo, distante e intelligente, ma allo stesso tempo soggettivo.

Un treno che passa, di cui vediamo solo l'interruzione visiva ritmica della luce che provoca al suo passaggio, è una delle immagini ricorrenti, forse una metafora del vivere veloce, dell'obbligo che abbiamo oggi di andare da una parte all'altra, a grande velocità ma senza sapere troppo dove stiamo andando. E così il lavoro procede verso un esito che si può dire frutto della 'geografia' o della stessa curvatura dello spazio: le tre protagoniste sono nello scompartimento di un vagone di questi treni che prima transitavano fugaci. Ma l'auto-osservazione di sapere che sono anche l'occhio con cui si guardano provoca una rivelazione liberatoria: togliendo l'artefatto che simula il finestrino del vagone, il treno scompare. Lo spazio contratto si libera da muri e confini, e le tre ragazze, prendendosi per mano, rompono l'isolamento della loro introspezione solitaria.

Il magnifico finale dell'opera gli conferisce un senso risoluto e una bella  coerenza drammaturgica, che è stata elaborata durante tutta la performance, sempre attraverso questa ossessione per l'incrocio e la sovrapposizione delle immagini, cercando l'alchimia creativa della trasformazione.

Il merito e la rilevanza del lavoro di UnterWasser è quello di aver creato opere che trattano temi di radicale contemporaneità su questioni essenziali: identità, osservazione di sé, distanza, scissione, rottura dello spazio, solitudine della vita urbana, relazione dentro e fuori, oggetto/soggetto, realtà/negatività, luce/oscurità… - senza bisogno di parole (quelle usate nel dramma hanno un senso più di cacofonia della voce interiore che di discorso sensato), senza teorizzazioni e dall'umiltà del semplice artigiano che gioca con bastoncini, fili e luci acquistate da Ikea.

Un vero privilegio che gli spettatori presenti al Teatro Sagarra di Santa Coloma de Gramenet hanno potuto godere in due sessioni memorabili.

Chapeau!

SANSEPOLCRO, IL GIARDINO CONTESO E TUTTO IL TEATRO DI KILOWATT

di Walter Porcedda, Gli Stati Generali, 2 Agosto 2021

 

[…] Chicca finale è infine “Untold” che non è né danza né teatro in termini tradizionali, bensì teatro di figura. Affascinante teatro di figura a cura di UnterWasser, compagnia al femminile formata da tre formidabili teatranti: Valeria Bianchi, Aurora Buzzetti e Giulia De Canio che mostrano come si possa fare teatro di alto livello con le ombre. Ombre che proiettate su teli, danno profondità a uno spettacolo costruito con altri elementi. Fili metallici che partecipano in costruzioni complicate e intrecciate nello spazio dove i loro confini e proiezioni diventano esse stesse ombre. Piccolo, infinitamente piccolo, infinitamente grande. Piccoli uomini che scalano labirinti di fili, grandi uomini e donne che emergono dal buio come ombre fugaci. Non c’è vuoto, non c’è pieno, ma tutto sfila davanti agli occhi come una lanterna magica accesa nel buio notturno, e per tetto un cielo di stelle. Sguardi fuggitivi sommano treni che corrono, interni di case, sedie che volano, palazzi di periferia che sfilano veloci, sagome che galleggiano in un iperspazio lunare etc… visioni che lasciano un segno fugace, apparizioni dal mondo dei sogni. Qualcosa che non si può dire. Che non si è detto. Untold, appunto.

UNTOLD, TOGLIATTI MON AMOUR, YOUR BODY IS A BATTLEGROUND / KILOWATT 2021

di Francesco Chiaro, Persinsala, 22 Luglio 2021

 

Untold, il primo spettacolo ad avere l’onore di aprire la Selezione Visionari 2021, parla una lingua ibrida, sineddotica, che giunge a noi dagli abissi di una ricerca formale nata nel 2014 dalle poliedriche Valeria Bianchi, Aurora Buzzetti e Giulia De Canio del gruppo UnterWasser. Debuttata nel 2020 alla Biennale Teatro di Venezia, la performance a metà strada tra teatro di figura e arti visive sfida le categorizzazioni classiche e tenta, riuscendoci, di dar vita a un linguaggio «visuale, universale, silente». «Sotto l’acqua è il fondale, con le sue meraviglie nascoste che creano stupore. […] Sott’acqua la voce non ha lingua, le parole diventano suono e i significati si colgono con gli occhi. […] Sott’acqua è l’onirico, il mondo del simbolo, il mito, l’utopia. Per attingervi occorre infrangere lo specchio della superficie e immergersi». Le immagine pescate da questo mare magnum di suggestioni trovano in Untold una casa feconda dove articolarsi con eloquenza, andando a ricercare cosa si nasconde nel “non detto”, in quel sottile spazio liminale tra «censura e autocensura individuale», tra il non potere e il non voler comunicare, portare alla luce.

Tramite la manipolazione magistrale del medium luminoso, infatti, le artigiane dell’UnterWasser mettono “in ombra” quello che non viene messo “in parola”, innestando sogni nell’immaginario del pubblico grazie alla commistione di frammenti di fil di ferro e carne umana che sfonda i limiti dello shadow play convenzionale, sovrapponendo irrealtà tangibili e condivise in un vortice sempre più incalzante fatto di amori e disamori, dipendenze e indipendenze. Le tre anime sul palco del Teatro Dante sono capaci, al tempo stesso, di evocare dolcezza disarmante e spietata crudezza, restituendo al pubblico uno spettacolo maturo e onesto che mette a nudo gli artifici scenici solo per aumentare a dismisura l’illusione narrativa, trasportandoci così sotto quella patina di silenzio dove vivono le parole più assordanti.

 

Tre ombre. Tre abissi dentro i quali ogni individualità rivela la propria intima autocensura. Sono storie narrate per fotogrammi “analogici” quelle di Untold, performance del collettivo indipendente UnterWasser che, con il suo tipico linguaggio visivo e sonoro, ci conduce in personali viaggi interiori alla ricerca dei meccanismi di autodifesa che inibiscono l’azione. Intravvediamo le tre performer nel buio della scena mentre costruiscono in diretta le sequenze e il montaggio del racconto, spostandosi nello spazio a ritmo del suggestivo universo sonoro di Posho. Le lampade sono le videocamere; le scene e i personaggi, invece, sono artigianali miniature che, per mezzo di un gioco di luci ed ombre, prendono vita in un flusso di immagini, cambi di prospettiva, soggettive e grandangoli: la sensazione è di trovarci di fronte a un cortometraggio in stile Hitchcock. Entriamo nello spazio privato delle loro stanze, in un momento quotidiano: le inquadrature si fanno sempre più dettagliate fino a penetrare nei meandri dell’inconscio, dove le tre figure si scontrano con blocchi, paure e segreti indicibili. Sarà un viaggio in treno e l’incontro con l’altro a regalare loro una risata liberatoria. Con un linguaggio originale che sfiora l’incanto della favola, UnterWasser racconta un comune percorso di liberazione da ingombranti e censorie costruzioni mentali, quelle che conducono a una rischiosa chiusura in sé stessi e al nichilismo, mostri che – sembrano dirci – si rivelano più docili se affrontati insieme.

 

Uno spettacolo in cui quanto viene sottinteso e non apertamente affermato conta più di quanto rivelato: e su quanto il non detto – Untold – sia determinante nel plasmare le nostre esistenze riflettono Valeria BianchiAurora Buzzetti Giulia De Canio, fondatrici e animatrici del gruppo di ricerca teatrale UnterWasser, fondato a Roma nel 2014 e dedito in particolare al teatro visuale e alle sue possibili contaminazioni con l’arte contemporanea.
Tecniche e topoi del teatro d’ombre vengono sfruttati originalmente dalle tre artiste, che agiscono sul palcoscenico di fronte al telo bianco e non dietro di esso, così da non celare nulla e anzi dichiarando esplicitamente tanto l’artificiosità quanto l’artigianalità della messa in scena.

Interni stilizzati e viaggi in treno, passeggiate e gatti irrequieti, spazi quasi labirintici e fantocci in precario equilibrio: le visioni create in scena sono schizzi di sogni, frutto di un dormiveglia eccitato e vibrante che rivela brevemente desideri inespressi e paure soffocate.
Il trio UnterWasser porta sul palcoscenico un rimosso inquieto – e non tanto inquietante – che svela un desiderio di evasione e pienezza non totalmente esaudito e che, nella particolare declinazione del linguaggio del teatro d’ombre coniata dalle artiste, trova intensa espressione.

 

Ecco allora che nell’emergere dall’ombra Untold di UnterWasser mostra cosa l’ombra nasconda, o meglio cosa dalla luce possa emergere. Non un racconto, ma piuttosto una condizione, una storia al femminile, un dialogo fra forme, sagome e corpi, un disegnare luoghi e stanze che si proiettano su flebili schermi. Come insegnano le ombre, corpo e oggetti si coniugano, si sposano in un tutt’uno che è altro. Così Valeria Bianchi, Aurora Buzzetti, Giulia De Canio sono un tutt’uno con le sagome che muovono: una ragazza nella vasca, una ragazza al tavolo e un’altra intenta in cucina. In tutto questo il corpo delle attrici si fa ombra e le sagome acquisiscono una spazialità autonoma. Tutto accade lì, tutto è stanziale, ciò che rimane impresso è forse più l’azione sulla forma che il dire con le ombre, in una tensione che disvela le potenzialità di un linguaggio che afferma Latella «potrebbe dire molto anche al teatro istituzionale».

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